L’analisi che segue si rivolge ad apneisti avanzati, in possesso di un bagaglio di conoscenze ed esperienze inerenti alla fisiologia dell’apnea che permettono loro di praticare l’apnea con consapevolezza e sicurezza. Conoscere la disciplina significa sapere come praticarla in modo sicuro per se stessi. Un punto fondamentale è: mai apnea da soli, ma sempre con uno o più compagni preparati che sanno come e quando intervenire. Questo è però soltanto uno dei molteplici elementi che possono fare la differenza nel rendere uno sport estremo come l’apnea una pratica emozionante rivolta a tutti.
Se sei giunto qui per caso e non hai mai fatto un corso di apnea, ti invitiamo, prima di prendere in considerazione quanto segue, a frequentarne uno affinchè tu possa essere consapevole dei rischi che fanno parte di tale disciplina e poterla quindi svolgere in modo consapevole e sicuro. Soltanto allora potrai comprendere la trattazione a seguire senza prendere inutili rischi per la tua vita.
Uno dei grandi interrogativi nel mondo dell’apnea riguarda proprio il metodo di allenamento:
come ci si allena per l’apnea?
In tutti gli altri sport, durante i quali la ventilazione è continua e frequente, si è raggiunto un livello di conoscenza tale per cui in letteratura scientifica un buon preparatore trova tutto quanto si possa desiderare per allenare con cognizione di causa.
Nel mondo dell’apnea è purtroppo ancora presto in quanto non si sanno ancora interpretare certe risposte dell’organismo, per via del fatto che l’attività è svolta in assenza di ventilazione e quidi i livelli di CO2 e O2 sono per forza alterati rispetto alle normali condizioni di esercizio fuori dall’acqua.
Nonostante ciò si è comunque raggiunto un certo livello di conoscenze scientifiche affiancate da conoscenze empiriche frutto della sperimentazione di allenamenti che hanno permesso di ottenere risultati tangibili.
L’idea di fondo alla quale si è giunti è che “l’apnea si alleni solo con l’apnea”. Ciò non significa che l’atleta debba unicamente svolgere sempre lo stesso esercizio in apnea provando a trattendere il fiato il più a lungo possibile. Spetta quindi ad un buon preparatore coordinare le diverse tipologie di allenamento per ottenere il risultato desiderato. Potenziamento in palestra, lavori aerobici e anaerobici a secco e in acqua, molteplici tipologie di lavori in apnea sono le soluzioni maggiormente adottate. In linea di massima i lavori a secco e di potenziamento servono a costruire una buona base sulla quale implementare le capacità apneistiche.
Le diverse discipline dell’apnea richiedono allenamenti differenti: il costante è differente dalla statica che a sua volta è differente dalla dinamica. Per quanto le tre tipologie si integrino, l’allenamento deve essere specifico, soprattutto nella parte finale, nella disciplina sulla quale si vuole puntare.
La squadra di Apnea Venezia si allena in modo specifico per la dinamica, dove gareggia anche a livello agonistico, togliendosi qualche piccola soddisfazione anche nella statica e nel costante.
L’apnea dinamica è una disciplina in cui l’atleta deve riuscire a percorrere la massima distanza possibile trattenendo il respiro. Durante tale esercizio nel suo sangue si raggiungono elevati livelli di CO2 (ipercapnia) e bassi livelli dell’O2 (ipossia). Le abilità specifiche richieste sono quindi essenzialmente: tecnica di pinneggiata, tolleranza all’ipercapnia, ottimizzazione dei consumi, gestione e consapevolezza dell’ipossia, concentrazione e rilassamento.
La tecnica è fondamentale: per ottimizzare la performance è indispensabile che l’atleta sia in grado di eseguire correttamente il gesto tecnico in modo da non sprecare risorse preziose; essa infatti è uno dei primi elementi sui quali lavorare prima di iniziare ad allenarsi per un obiettivo e va sempre richiamata durante le sessioni di allenamento.
Forza e resistenza muscolare sono due caratteristiche imprescindibili per un atleta che compete nell’apnea dinamica. La prima è una caratteristica che non deve mancare mai in quanto migliora l’efficienza, la facilità di esecuzione e di controllo dei movimenti. La resistenza è una caratteristica che garantisce all’atleta la tenuta fisica per tutta la durata della prova; soprattutto nell’ultima fase in cui il lattato si fa sentire la resistenza aiuta.
La tolleranza all’ipercapnia è fondamentale per poter protrarre l’apnea oltre il punto di rottura (punto in cui fame d’aria e contrazioni insorgono) in modo controllato e rilassato al fine di mantenere bassi i consumi. La sola tolleranza all’ipercapnia non permette di incrementare in modo significativo le distanze; essa è piuttosto una capacità che permette di avvicinarsi più tranquillamente alla fase in cui si allena l’ipossia. Infatti, idealmente, la performance è limitata solo dal punto di vista ipossico e per raggiungere tale limite l’atleta attraversa una fase di ipercapnia che va compresa mentalmente e tollerata fisicamente.
Per aumentare la distanza servono i lavori lunghi (submassimali e massimali). Essi consistono in lavori in apnea in cui nell’organismo si verifichino delle transizioni da elevato O2 a basso O2. Lo stress prodotto determina degli adattamenti nell’organismo in termini di ottimizzazione dei consumi di O2. In aggiunta l’atleta acquisisce via via sempre maggiore consapevolezza nella gestione dell’ipossia e nel riconoscimento del limite. Entrambe le abilità sono indispensabili per aumentare la distanza percorsa. I lavori di questo tipo (ipossici) sono fondamentali e da preferire a quelli ipercapnici se si ha poco tempo per allenarsi.
Concentrazione e rilassamento sono infine due elementi mentali chiave nella gestione della prova. Potremmo parlare di “concentrazione rilassata”. Come tutte le prestazioni sportive spinte al limite, è indispensabile, oltre a quella fisica, una buona preparazione mentale. A maggior ragione nell’apnea, dove il maggiore rilassamento garantisce un minore consumo di energia e quindi di ossigeno. Una prova massimale di dinamica svolta correttamente è un esercizio di autocontrollo e concentrazione. Essa inizia con una fase piacevole, fatta di sensazioni di puro benessere, dalle quali l’atleta si lascia cullare per prolungarle il più a lungo possibile. E’ fondamentale evitare di assecondare la tensione prodotta dalle aspettative sulla performance che inevitabilmente produrrebbe dei pensieri focalizzati sulle difficoltà successive che incontreremo nello svolgimento della prova. In un certo senso innaturale, un simile approccio richiede grande esperienza. L’insorgere dei primi stimoli a riprendere la normale ventilazione dà il via a una fase successiva e molto diversa dalla precedente, fatta di sensazioni che diventano via via sempre più forti poiché prodotte da un organismo che vuole preservare la vita e che la sente minacciata: in un apneista allenato tali stimoli si basano quasi esclusivamente sull’aumento della pressione parziale della CO2. I livelli di O2 sono comunque ancora sufficientemente alti e consentono quindi il normale funzionamento metabolico. Non è un caso che l’organismo sia biologicamente impostato per monitorare soprattutto la CO2: è una strategia che permette ad esso di intervenire per tempo. Difende la vita e lo fa con forza e largo anticipo. È fondamentale comprendere le ragioni dell’intensità di tali fastidiose sensazioni per poterle accettare al punto da imparare a convivere con esse quanto più serenamente e rilassatamente possibile. È necessario altresì giocare d’attesa: evitare qualsiasi proiezione futura negativa, restare concentrati sul presente e procedere concentrandosi su sensazioni altre e piacevoli. In un organismo progettato biologicamente per generare l’allarme, è fondamentale che la testa lavori per non reagire in modo spontaneo ed impulsivo ad esso, pena l’aumento esponenziale dei consumi e un’apnea forzata fatta di sensazioni sempre più spiacevoli. Se ciò non è possibile, l’esercizio è concluso, non ha senso continuare. Se invece l’apneista è in grado di proseguire con il corretto controllo psico-fisico, controllando e superando la crisi, potrebbe incorrere in una successiva fase in cui le sensazioni spiacevoli si attenuano e in cui mente e corpo, totalmente assorti nel gesto tecnico, entrano in una condizione di “concentrazione armonica” (stato di flow). Nulla è eterno e da questo momento in poi si avvicina il limite ipossico; l’apneista deve sapersi ascoltare in modo lucido per capire quando interrompere la prova per tornare a ventilare. Le sensazioni cui egli si affida in questa fase non sono definite, ma soprattutto non sono particolarmente forti come quelle causate dall’ipercapnia e ancora una volta l’esperienza gioca un ruolo fondamentale per non incorrere in sambe o black out. Simili episodi sono assolutamente da evitare, oltre che per ragioni di sicurezza, perchè produrrebbero degli effetti negativi sullo stato mentale con cui si andrebbero ad affrontare le future prove.
L’allenamento sarà quindi mirato a sviluppare tutte le sopradescritte abilità/capacità fisiche e mentali.
I lavori che riguardano la tecnica la tolleranza all’ipercapnia, la concentrazione
Programmiamo i nostri allenamenti su base annuale con lavori differenti a seconda dei periodi. A settembre si inizia con una parte aerobica e anaerobica di nuoto mirata ad ottenere un miglioramento generale della forma fisica e dell’acquaticità; successivamente si inseriscono progressivamente delle sessioni di apnea in cui si lavora esclusivamente in ipercapnia con un alto volume di esercizio. Ciò significa tante ripetizioni fatte di tragitti brevi con intervalli di recupero brevi. L’obbiettivo è migliorare ancora la forma inserendo una componente di tolleranza a livelli di CO2 sempre più alti. Man mano che ci si avvicina al periodo gare (febbraio-maggio) i lavori ipercapnici diventano sempre più mirati a ottenere qualità a discapito del volume e nel frattempo si inseriscono lavori ipossici. Infine, nell’ultima parte dell’anno si lavora su delle sessioni di ipercapnia e di ipossia in cui si ricercano rispettivamente intensità e distanza.